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Quando si prende in causa il brand di “Resident Evil”, si fa riferimento inevitablmente ad almeno 3 titoli fondamentali per l’industria videoludica del periodo a cavallo tra la metà degli anni ‘90 e i primi 2000. Anche se i giocatori più attempati come il sottoscritto avevano già avuto modo di cacarsi addosso con il poligonalisssimo e lovecraftiano “Alone in the Dark”, il primo “R.E.” (Biohazard nel Sol Levante) fu un vero fulmine a ciel sereno.

Spazi angusti, munizioni scarse, inventario risicatissimo; grande senso d’angoscia durante le fasi più concitate, dato anche da una difficoltà piuttosto alta e in alcuni casi da situazioni che imponevano la scelta di nascondersi, piuttosto che affrontare le insidie (quando si aveva a che fare ad esempio con creature immortali come il buon vecchio Nemesis).

Capcom riuscì dapprima a replicare il successo del capostipite con un seguito ed una terza parte decisamente all’altezza, andando però avanti negli anni con capitoli che viravano sempre più all’azione, allontanandosi da quel terrore puro, da quel senso di oppressione nel sentirsi braccati dalle creature maligne e avvicinandosi invece al concetto di “sparatutto-di-ignoranza-per-sterminare-tutto-ciò-che-si-muove”.

Visti gli ultimi lavori della software house nipponica, confesso di essere stato molto scettico al riguardo, ma già dalla demo uscita in concomitanza con lo scorso “E3”, era palese l’intento di prendere il meglio degli anni d’oro del brand, con una rinnovata visuale di gioco (stavolta in soggettiva), allinearsi di fatto al trend dei survival horror moderni (Outlast docet).

Nei panni di Ethan, ci ritroveremo ad indagare sulla scomparsa della moglie Mia, avvenuta 3 anni prima durante una sorta di “tour delle casa infestate”. Gli indizi ci porteranno in Louisiana, nei pressi della dimora dei signori Baker, una magione isolata e fatiscente posta nel mezzo del bayou, infestato da coccodrilli e zanzare, location che rievoca le atmosfere malsane della prima stagione di “True Detective”.

Ben presto scopriremo, a nostre spese, che qualcosa di malvagio ed implacabile si annida in quella zona, e dovremo impiegare ogni risorsa in nostro possesso per riuscire a sopravvivere ad ogni insidia posta sul nostro percorso.

Nonostante il pesante restyling (uno su tutti il cambio di visuale da “telecamere fisse poste negli ambienti”, a “soggettiva”) e tralasciando la mancanza (almeno apparente) dei classici zombie che contraddistinguono la saga, questo settimo capitolo risulta decisamente immersivo e spaventoso al punto giusto, con una buona dose di enigmi (che strizzano l’occhio a quelli dei primi capitoli) ed un giusto bilanciamento tra difficoltà e numero di armi o consumabili trovati. Inoltre è il primo titolo tripla A studiato per il visore di realtà virtuale di Sony, ed è lecito pensare dia il meglio di sé proprio in quella versione (ma io che so povero non lo saprò mai perché 400 euro per un caschetto hi-tech nun ce li ho).

Se vi sono piaciuti il sopracitato “Outlast” o giochi quali “Alien Isolation” e “Amnesia”, o semplicemente siete amanti del genere horror, qui troverete pane per i vostri denti.

Io consiglio di “farci un giro”, possibilmente di notte, soli in casa e con le cuffie. Buon infartino!