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Ep. 1

Monte Pasubio,

Rifugio Vincenzo Lancia

 

Sono pigro. Lo ammetto candidamente. Anzi, sono decisamente una merda. Ma la montagna esercita un’attrazione magnetica che mare levati. Non me ne vogliano i cultori delle spiagge, ma alla sabbia nel culo preferisco i calli, il fiatone e l’irrinunciabile sensazione di essere più di là che di qua. E poi annegare fa schifo. Se proprio devo morire, scelgo di spegnermi lentamente in fondo ad una scarpata, completamente disarticolato, in preda agli spasmi e alle allucinazioni, le ossa distrutte, la sorda preghiera rivolta ad un Dio assente perché ponga fine alle mie sofferenze indicibili e sì okay forse annegare non è così male.

Monte Pasubio, rifugio Vincenzo Lancia. Sveglia all’alba. Cioè alle nove. Non giudicate. Unici compagni, Il Fisioterapista, Femmina Uno (che ha firmato la liberatoria per consentirmi di chiamarla così NdR) e la sfiducia antropologica. Viaggio indolore, veloce, tranquillo – poi scendiamo dall’automobile. Il Fisioterapista e Femmina Uno sembrano ottimisti. Io un po’ meno, ma cerco di non darlo troppo a vedere.

«Dai, mi pare fattibile, per essere una delle mie prime uscite me la sto cavando bene.»

Se cerchi su Google “ultime parole famose” ci trovi la mia foto.

Sprofondiamo nella neve, unica vera nemica del Montanaro di Merda. Si avanza faticosamente. Un cimitero austroungarico. Mi impediscono di scavalcare la staccionata e farmi inutilmente del male. Un enorme masso con una scritta incisa, enorme anche quella, ma non ho gli occhiali da vista. Scusate. Gli abeti si animano e lasciano cadere il loro carico di neve al nostro passaggio, la vallata ammicca sotto di noi, le montagne – giganti lontani, silenti, incorniciati dai rami degli alberi – ci fanno ciao. Silenti.

Pausa caffè. Ho portato la thermos, solo per rinfacciarlo quando inizieranno a trattarmi come il peso che effettivamente sono. Non lo fanno. Apprezzo. Femmina Uno lamenta dolori al crociato, si è operata da poco. Il Fisioterapista la aggiusta. Gongolo perché non ho bisogno di alcun trattamento. In realtà sto morendo dentro, fuori e un po’ ovunque.

«Ci spariamo un selfone?»

È solo una scusa per riprendere fiato. La dignità l’ho lasciata nella Yaris del Fisioterapista.

La neve mi arriva alla gola, ormai si nuota in quell’orrendo manto immacolato. Le gambe iniziano a cedere. Il verme che alberga nel mio animo mi impone di strisciare. Primi deliri dovuti alla fatica.

«Oh regà, ho appena realizzato che Ötzi dabbava, solo che quando s’era piccini e s’andava a vederlo al museo di Bolzano non esisteva ancora sta moda. Appena arrivo a casa ci faccio il memone.»

Silenzio imbarazzante. Imbarazzanti scambi di sguardi. Ancor più imbarazzanti appunti sui diari di viaggio dei miei compagni: niente più battute in sua presenza sull’eventualità di morire sepolti da una valanga e venire ritrovati tra duemila anni.

Invoco l’eutanasia. Mi rassicurano: siamo quasi arrivati. Inizia la seconda fase dell’elaborazione della fatica – quella paranoica. Mi rifiuto di credere alle loro parole. Ce l’hanno con me. Mi stanno prendendo in giro. Si fanno beffe della mia scarsa prestanza fisica. La neve non è più l’unico nemico. La schiena è piena di coltelli. Non posso fidarmi di nessuno. Medito di eliminare fisicamente i miei compagni. Ci sono un sacco di strapiombi, basterebbe una spintarella e…

La luce. Intravedo la meta. Forse avevo torto. Forse. Touché. Pranziamo velocemente e varchiamo le porte del rifugio, ben consci del fatto che sì, bello lo scenario, belli prati innevati, ma il vero Montanaro di Merda raggiunge la vetta solo per farsi a schifo di bombardino. Il Fisioterapista adocchia però un’invitante ed esotica bottiglia di liquore al pistacchio. C’è da scegliere. Eloquente scambio di occhiate. Il frame successivo ci vede seduti al tavolo. Evitiamo di contare i bicchieri. No, non abbiamo scelto. L’alcool entra in circolo e ci garantisce un ritorno indolore. Noto che la neve non era poi così alta, e quella sul sentiero era sufficientemente compatta da camminarci sopra senza problemi. Faccio finta di nulla e mi limito a ribadire ogni dieci minuti quanta poca fatica stia facendo. Anche oggi si muore domani.

 

 

Pagella

 

Difficoltà percorso: 2/5

Neve inclusa. La struttura ossea però dovete portarla voi.

 

Scenografia: 3/5

C’è di meglio, c’è di peggio. Una buona metafora della vita.

 

Qualità rifugio: 5/5

Lo staff sorride benevolo, lo staff non giudica.

 

Densità turistica: 4/5

Se due è folla e tre è un party, questo è un no grazie.

 

Dramma esistenziale: 3/5

Il giusto compromesso tra allegra scampagnata e discesa nel Tartaro.
Voto finale: di silenzio. Imbarazzante.