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Emigrantes #3. Storie di migranti trentini

Nome: Pietro Dallabernardina

Età: 31

Luogo di Provenienza: Lizzana [Rovereto – TN]

Percorso di Studi: ITI/Liceo Scientifico Tecnologico – triennale + specialistica in Chimica a Padova – Dottorato al Max Planck Institute for Colloids and Interfaces.

Anno in cui hai lasciato l’Italia e destinazione: 2012, Vienna, poi Berlino

Che lavoro facevi in Italia? Qual era la tua situazione prima di partire?

Quando sono partito ero disoccupato. Però devo dire che lo sono stato poco, ad ottobre ho finito l’università e a dicembre avevo già accettato il dottorato a Berlino.

Ero un neo laureato che cercava lavoro. L’unica cosa che un po’ mi creava dei problemi era l’essere tornato a vivere dai miei genitori, dopo 10 anni fuori di casa non era proprio il massimo.

Che motivazioni ti hanno spinto a partire?

Purtroppo qui si tocca un tasto dolente del passato. Tornato da Vienna ed ero un po’ indeciso sul da farsi. Da una parte volevo provare a fare un dottorato perché pensavo che come scienziato fosse un lavoro stimolante, dall’altra cercavo un modo per poter restare a Padova perché volevo con tutto il mio cuore stare vicino alla mia ragazza e dopo quasi un anno di distanza ero stanco di questa situazione.

Provai l’esame di dottorato a Padova, che sarebbe stata la soluzione perfetta, ma non riuscii ad entrare, così cominciai ad applicarmi per lavori a Padova tenendo comunque un occhio sui dottorati e provando i più interessanti.
Appena laureato trovai l’annuncio per una posizione in uno dei più importanti centri di ricerca del mondo: il Max Planck Institute. E cosa non da poco a Berlino.

All’inizio non volevo accettare per restare in Italia con la mia ragazza ma alla fine mi convinsi a partire, dopo la sua promessa di raggiungermi.

Purtroppo nella vita spesso le cose non vanno come speriamo. Lei non si trasferì mai a Berlino e dopo due anni e mezzo mi lasciò.
Tirando le somme, dopo tutto questo preambolo, non so cosa rispondere a questa domanda. Non avevo grandi motivazioni quando accettai se non la curiosità di vivere in una città fantastica come Berlino. Nonostante sappia che la mia carriera migliorerà grazie a questa esperienza non so perché partii. All’epoca scelsi chiaramente quello che non volevo.

Che aspettative avevi prima di partire?

Mi aspettavo un po’ di difficoltà all’inizio perché non è facile partire, integrarsi e fare vere amicizie. Però ero anche conscio di tutte le opportunità, sia di divertimento sia di crescita personale, che mi si sarebbero aperte, quindi immaginavo che dopo un primo periodo di assestamento la situazione sarebbe migliorata.
Da un punto di vista lavorativo mi aspettavo di lavorare un sacco e che non sarebbe stato facile.

Qual è stato il primo impatto una volta arrivato a destinazione?

Drammatico!! Pensandoci mi vien da ridere. Il primo giorno fu durissimo, tra stanchezza per il viaggio, depressione per aver lasciato la ragazza in Italia e il meteo che mi accolse con una bufera di neve. Onestamente avrei voluto mollare all’istante. Ma alla fine continuai ad andare avanti e una volta trovata casa le cose cominciarono a normalizzarsi. Il vero problema fu sul posto di lavoro, dove non c’era un grande rapporto con i colleghi.

Per fortuna quello della ricerca universitaria è un mondo dinamico, dove la gente va e viene; già dopo un mese le facce in laboratorio cominciarono a cambiare e sostituirsi con belle persone di cui divenni amico. Questo migliorò drasticamente non solo la vita lavorativa ma anche quella sociale frequentandoli anche fuori dal lavoro.

Che lavoro/i hai svolto arrivato a destinazione?

Il dottorato che sto svolgendo tutt’ora.

Mi occupo di sintesi su fase solida automatizzata di oligosaccaridi presenti nelle piante.

Quali sono le differenze con l’Italia (e con il Trentino) che più ti hanno colpito?

Stando a Berlino mi viene subito da dire la multi-culturalità.

È incredibile quanta gente da tutto il mondo si trasferisca qui, per i motivi più disparati.

Un’altra cosa che mi ha colpito è come Berlino sia una città in costante cambiamento sotto ogni punto di vista.

Ovviamente ci sono anche le solite cose che tutti ammiriamo al di là delle Alpi, come ad esempio il servizio di trasporto pubblico che è incredibile e l’università che costa pochissimo. Oltretutto, pagando le tasse universitarie ottieni il biglietto gratuito per viaggiare con i mezzi pubblici. Un’altra cosa sorprendente è che a Berlino la famosa efficienza teutonica viene un po’ a mancare; emblematico esempio di questo è l’epopea del nuovo aeroporto in ritardo di anni.

Quali innovazioni/abitudini/metodologie che hai visto vorresti fossero “importate” in Italia?
Da un punto di vista lavorativo la cosa che fa veramente la differenza sono i soldi.

Per comprare strumentazioni o reagenti chimici, costruire infrastrutture nuove e moderne ma anche banalmente pagare un dottorando decentemente, servono soldi.

La mancanza di soldi in Italia credo sia alla base di molte dinamiche sbagliate di cui ho sentito parlare all’interno dell’università italiana.

Parlando di cose più pratiche, una cosa molto bella che ho visto in Germania nell’ambito chimico e che credo dovrebbe essere attuata anche a livello universitario italiano sono le internship durante l’anno accademico.

In poche parole, qui sono obbligati a fare diverse esperienze in laboratori durante tutto il percorso universitario. Chiaramente durante queste esperienze si impara un sacco, in particolare cose pratiche, e questo, quando si comincia a lavorare in laboratorio per la tesi magistrale o per il dottorato, ti rende molto più preparato e confidente con il lavoro.

 

Cosa c’è lì di bello da cui prendere ispirazione?

Da Berlino la multi-culturalità, l’accettazione dell’altro e di quello che spesso viene considerato il ”diverso”.

In una scala di valori fra: lavorom ambiente e persone, in che percentuale questi elementi contribuiscono per te alla scelta di emigrare?

Per me il luogo gioca una componente fondamentale, diciamo un 60 %, un 30% al lavoro ed il restante 10% alle persone.

Come e quanto mantieni i contatti con amici e familiari in Italia?

Con i miei genitori mi sento più o meno una volta alla settimana per telefono, con i vecchi amici di Rovereto/Padova/Vienna varia molto perché usando WhatsApp può capitare che li senta ogni giorno per un certo periodo e poi magari basta per qualche settimana.

Con che frequenza rientri a “casa”?

Diciamo che è molto variabile, potrei dire una volta ogni due mesi.

 

Che prospettive hai per il tuo futuro?

Nell’ultimo anno molte cose sono cambiate nella mia vita e adesso sto cercando di ristabilire le mie priorità e decidere cosa voglio fare da grande. Questi cambiamenti hanno aperto possibilità che prima consideravo solo marginalmente e quindi sono ancora indeciso sul da farsi.

Comunque al momento ho in mente di cercare un post-doc da qualche parte in Europa, cosi da poter fare ricerca per altri due anni e nel frattempo cominciare a cercare lavoro. Non credo comunque continuerò con la carriera accademica una volta finito il post-doc.

 

Che cosa ti sentiresti di consigliare ai giovani che vogliono emigrare?

Nonostante forse traspiri della negatività dalle prime risposte, io consiglio di farlo anche solo per una breve esperienza.

Suggerirei, a chi può, di andare in Erasmus, dove la possibilità di essere in un ambiente un po’ più “protetto” e comunque per un periodo definito, rende tutto molto più facile e in generale una grande esperienza.

Consiglierei anche di tenere botta ed essere forti i primi mesi perché potranno essere duri, ma se si pazienta e ci si mette impegno, piano piano tutto migliora e si trasforma in un’esperienza bellissima.

Andare all’estero ti fa crescere sempre, sotto ogni punto di vista. Devi confrontarti con una marea di problemi e con culture ed usi differenti, ti apre la mente e ti rafforza dentro.