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Quando si parla di battaglie navali siamo abituati ad immaginare scontri in mari lontani tra le navi dei pirati e quelle della flotta del tesoro spagnola. In pochi sanno però che anche nel nostro lago di Garda si combatterono una serie di battaglie navali. I fatti riguardanti una di queste battaglie passeranno alla storia con il nome di “Galeas per montes conducendo”.

L’episodio risale al 1439 e si inserisce nel contesto delle guerre di Lombardia. Queste vedevano Repubblica di Venezia, Ducato di Milano e rispettivi alleati contendersi il dominio dell’Italia settentrionale. La Serenissima aveva da tempo iniziato una campagna di espansione verso l’entroterra per procurarsi il legname con cui mantenere efficiente l’imponente flotta. Questo ovviamente non faceva piacere al baùscia della Lombardia Filippo Maria Visconti, Duca di Milano, che decise di muovere guerra contro la Repubblica adriatica.

Siamo nella prima metà del ‘400 e i milanesi, con una serie di audaci colpi di mano, strappano alcune città ai veneziani estendendo i loro domini nella pianura Padana, fino a raggiungere le porte di Brescia. Nel 1438 la città di Brescia, alleata di Venezia, si trova quindi sotto assedio. I difensori si trovano ben presto a corto di viveri e non resta loro altra scelta che chiedere aiuto al Senato di Venezia.

Come in ogni storia che si rispetti c’è un però, un però grande come un castello, anzi due, come i castelli di Peschiera del Garda e Desenzano dove si trovano asserragliate le truppe milanesi che sbarrano il passo ai veneziani. A difesa della città di Brescia si trova il miglior capitano di ventura al servizio della Serenissima: Erasmo da Narni, meglio conosciuto come Gattamelata. Se il nome vi sembra idiota sappiate che la Repubblica di Venezia, alla sua morte, lo iscrisse nel libro d’oro del patriziato, una delle più alte onorificenze della Repubblica, e gli fece scolpire una statua in bronzo da uno dei maestri dell’epoca, Donatello.

“Nel ‘400 i capitani di ventura erano un po’ come i numeri 10 del calcio moderno, passavano al servizio dei vari signorotti locali per i quali portavano le armate in battaglia. Combattevano per chi li pagava meglio e potevano cambiare le sorti della guerra. Spesso questi capitani assumevano dei soprannomi fantasiosi e in alcuni casi divennero delle vere e proprie bandiere delle diverse fazioni. Come fu per il Gattamelata che ottenne gloria e onori e soprattutto un sacco di soldi per i suoi preziosi servizi alla Repubblica di Venezia.”

Ma ora sto divagando, come faccio sempre, quindi torniamo alle nostre vicende. Gattamelata è impegnato in diverse schermaglie con Nicolò Piccinino, capitano di ventura al soldo dei milanesi. L’esercito veneziano inizia a logorarsi, per questo il suo comandante decide di battere in ritirata, ma per farlo sceglie di seguire una strada impervia: passare per la Val Sabbia e attraversare il Trentino per poi piegare sul Veneto. Lasciata una parte dell’esercito a difesa della città di Brescia, il Gattamelata si incammina, sempre incalzato da Piccinino. Con l’utilizzo di vari sotterfugi, ma soprattutto con molto oro, l’esercito veneziano riesce a conquistarsi pagarsi la strada fino ad Arco dove, per guadare il fiume Sarca, affronta le truppe dei conti locali, ultimo impedimento sulla strada di casa.

Probabilmente è durante questo viaggio che il Gattamelata e la sua crew iniziano ad immaginare un piano per il loro ritorno in grande stile e per salvare la città di Brescia.

Come dicevamo, la via padana era sbarrata dalle truppe milanesi asserragliate nei propri castelli e col cazzo che avrebbero accettato uno scontro in campo aperto. Quindi come fregare i Baùscia? L’unica strada che non imponesse grandi spargimenti di sangue era quella che portava a Brescia dalle retrovie, percorrendo la strada della ritirata a ritroso. Questo però significava compiere un largo giro e, soprattutto, dover attraversare i territori controllati da Milano, in particolare il tratto di lago che collegava Torbole al porto del Ponale (oggi in disuso), unica via di accesso al bresciano.

Nella realizzazione del piano, Gattamelata è aiutato dal marinaio di origine greca Sorbolo di Candia (il solito immigrato che ruba il lavoro agli italiani!!1!) e da Blasio de Arboribus. I due bravi non sapevano ancora che la loro impresa si sarebbe rivelata pericolosa e difficile almeno quanto quella compiuta da Frodo e la sua Compagnia che dalla Contea li portò a Mordor.

Probabilmente la prima reazione che i senatori veneziani hanno avuto ascoltando le parole di Sorbolo di Candia dev’essere stata una cosa del tipo: “Ma questo è un coglione”. D’altra parte come dargli torto? Quel vecchio marinaio sosteneva che sarebbe stato possibile trasportare un’intera flotta dal mar Adriatico al lago di Garda per colpire i milanesi alle spalle. Non sappiamo con quali parole Sorbolo convinse il Senato veneziano della fattibilità della sua impresa. Soprattutto non sappiamo come Sorbolo li convinse che far navigare la flotta per chilometri, tra Adriatico e Adige, trascinandola poi a mano su per la montagna, sarebbe stata una buona idea. Sta di fatto che alla fine i senatori si convinsero che forse quel vecchio marinaio poi tanto coglione non era e diedero il via libera all’operazione.

Così, decine di imbarcazioni, tra cui 2 galee grandi e 3 piccole, partono da Venezia e navigano lungo il fiume Adige passando per Verona. Un formicaio in movimento. Migliaia di uomini, tonnellate di materiali e vettovagliamenti impegnati in quest’impresa. A Mori i veneziani trainano in secca la flotta per poi trascinarla a mano, facendola scorrere su travi in legno appositamente predisposte fino al lago di Loppio. Qui le navi possono di nuovo navigare. Tirate per la seconda volta in secca le navi devono ora superare quello che oggi è conosciuto come Passo San Giovanni, una salita di qualche centinaio di metri con una pendenza a dir poco proibitiva. Per vostra informazione una galea vuota pesa “solo” 250 tonnellate (più di quaranta elefanti, se può esservi di aiuto) ed è lunga circa 41 metri per 6 di larghezza. Siccome una volta un vecchio perditempo mi ha detto che i giovani come me hanno poca immaginazione, cercherò di aiutarvi. Siete mai passati in bici da quelle parti? Bene, oggi dovrebbe esserci una ciclabile che passa di lì; ora immaginate di percorrerla con un elefante sulle spalle che vi dice dove andare. Chiusa la parentesi per spiegare come trascinare delle navi su quella strada fosse un gran casino.

“Prima dell’arrivo della flotta a Torbole, il Gattamelata mandò un contingente di truppe scelte ad espugnare Castel Penede (al tempo di proprietà dei conti d’Arco), sopra Torbole, per garantire un passaggio sicuro alle navi in transito nella valle di Santa Lucia. Se qualcuno di voi non credesse a questa storia può alzare il culo dal divano e recarsi di persona nella suddetta valle dove troverà un bassorilievo raffigurante l’impresa.”

Dicevamo, i veneziani grazie all’utilizzo di migliaia di persone, animali e quant’altro riescono a trainare le navi fino a Nago per poi calarle nel porto di Torbole. Si racconta che il peso delle navi fosse tale che per frenarle durante la discesa vennero issate le vele, che battute dall’Ora avrebbero rallentato la discesa. Non appena le navi sono messe in acqua, dal porto di Torbole partono subito carichi di rifornimenti verso Brescia.

Non tutto però è andato secondo i piani. Le voci, si sa, corrono veloci e la flotta veneziana viene scoperta prima del tempo, perdendo così l’effetto sorpresa. Nelle battaglie che seguono i milanesi riescono a mettere in difficoltà la flotta veneziana, catturando e affondando molte delle navi.

Tutto perduto, quindi? Un sacco di quattrini sperperati e nessun risultato, direte voi… Già vi sento: “Ma come? Hai rotto le palle con tutta questa storia, tutto questo lavoro per portare le galee nel lago di Garda e alla fine non è servito a niente!?”.

Beh, non proprio; alcuni aiuti arrivano comunque a Brescia che in questo modo può resistere all’assedio fino alla liberazione. Inoltre, nell’anno successivo, Venezia riuscirà a mettere in piedi una flotta altrettanto potente e nella battaglia del Ponale, nelle acque antistanti la città di Riva, sconfiggerà definitivamente i milanesi estendendo il suo dominio su tutto il lago di Garda.

Venezia mantenne il controllo delle nostre zone fino alla prima metà del 1500, ovvero fino a quando non pestò i piedi all’uomo sbagliato: Giulio II, pontefice e sovrano assoluto dello Stato Pontificio. Fedele al motto cristiano “Porgi l’altra guancia” “Occhio per occhio, dente per dente”, Giulio II riunì una lega di stati che notoriamente si stavano sulle balle a vicenda per contrastare Venezia. Al grido di “Tutti addosso a Venezia che se sta ad allargà un po’ troppo”, Stato Pontificio, Regno di Francia, Sacro Romano Impero, Impero spagnolo e vari Ducati minori attaccarono la Repubblica di Venezia. La guerra durerà molti anni e vedrà gli schieramenti cambiare più volte. Alla fine della guerra Venezia non lamenterà grandi perdite territoriali ma dovrà rinunciare per sempre alla sua espansione nell’entroterra italico.

di Tito Gironzolato