La vera rivoluzione nella moda contemporanea è che ti dà la possibilità di crearti uno stile da solo, senza la necessità di dover spendere capitali per sentirsi all’ultima moda.
Quando nel 1947 Christian Dior inventò il NEW LOOK, lo fece con lo scopo di creare un disegno universale pensato per esaltare la femminilità dopo la depressione subita durante la seconda guerra mondiale.
La moda è sempre stata costosa, e anche se il New Look di Dior veniva considerato popolare e qualcosa che tutte le donne potevano indossare, in realtà rimaneva pur sempre una creazione di alta sartoria per una piccola nicchia.
Senza andare troppo in là nel tempo, gli anni ’80 si sono contraddistinti nella moda per la logo-mania: tutto doveva portare una marca ben visibile e spesso molto costosa, nomi di designers scritti a caratteri cubitali, colori accesi e look estremi. Nessuno spazio per il minimalismo, tendenza che arrivò il decennio successivo grazie a un ritorno della semplicità e dei colori neutri, spesso capitanati dal nero totale.
Yohji Yamamoto, Martin Margiela, Ann Demeulemeester e molti altri diedero vita a una moda concettuale e intellettuale, fatta di forme geometriche e decostruzioni, ovvero l’esatto opposto della pomposità vista negli anni ’80.
C’è però, proprio negli anni ’90, una tendenza che si fa strada soprattutto fra i più giovani, un movimento culturale che si apre fra cineasti, artisti e musicisti di quell’epoca, che hanno segnato un’intera generazione e che tutt’oggi ci ispira.
Possiamo vedere come film del genere underground newyorkese quali Kids di Larry Clark, Ken Park dello stesso regista o Gummo di Harmony Korine sono ancora oggi fonte d’ispirazione per i creativi contemporanei.
Persino Kim Gordon, cantante e bassista del gruppo Sonic Youth, negli anni ’90 creò la linea di T-shirt per ragazze Riot Grrrl (movimento femminista nato a New York negli anni ’90, capitanato da Kathleen Hanna delle Bikini Kill) dal nome X-Girl e che come testimonial aveva Chloe Sevigny, indiscussa regina dell’underground di quell’epoca.
Gli anni ’90 sono tornati, ma non c’è niente di strano: in fondo nella moda tutto si ripete e tutto si ricicla, l’importante è non utilizzare codici troppo letterali e cercare di riproporli adeguandosi al tempo in cui viviamo.
Un esempio lo vediamo nel lavoro del fotografo e Casting Director dell’agenzia per modelli alternativi Mother Division, Kevin Amato, che definiscono l’erede di Ryan McGinley: nelle sue fotografie, come nei casting, possiamo vedere chiaramente un ritorno all’ingenuità e all’incoscienza.
I ragazzi scelti sono naturali e ancora glabri, ritratti in azioni di un’adolescenza semplice e cool allo stesso tempo. Non si cercano più modelli muscolosi dai volti perfetti, ma corpi che ancora non sono arrivati a compiere la pubertà.
Anche nel fashion business più commerciale possiamo trovare influenze provenienti da quegli anni: basta ricordare la sfilata di addio alla Maison Saint Laurent da parte di Hedi Slimane, un vero e proprio omaggio al lavoro di Yves all’apice della sua carriera, o le irriverenti e colorate sfilate di Jeremy Scott per Moschino, e ancora, l’ispirazione sport e clubbing di Hood by Air, con felpe enormi, pantaloni skaters e dettagli catturati dallo street look più estremo.
Il Norm Core è finito, l’importante è non passare inosservati.
Gosha Rubchinskiy presenta la sua ultima collezione a Pitti Uomo, nello scenario industrial della vecchia Manifattura Tabacchi di Firenze; tutti in piedi, i modelli escono dalla porta principale, in un cortile che ci ricorda quello dei film neo realisti o delle vecchie scuole, vestono come ragazzini usciti da un film di Larry Clark e il loro aspetto è assolutamente efebico. Indossano felpe con la scritta Fila, Kappa e Sergio Tacchini, tutti brands che fecero la storia dello sportswear dagli anni ’70 agli anni ’90.
Questi volti appartengono a una nuova tribù, indiscutibilmente più globalizzata di quelle che abbiamo visto nel ventesimo secolo; loro forse queste cose nemmeno le indossano, o non si possono permettere di comprarle, ma ne sono l’ispirazione principale. Giovani dall’apparenza forte e magari, esagerando, pericolosa, ma che in realtà sono fragili. Sono i ragazzi che non si sentono mai a loro agio, ma che grazie alla loro diversità, al loro spirito anti-conformista, a quella voglia di emergere fra la folla e a uno stile personale che riflette ed esalta la loro personalità, marcandone anche i difetti come motivo di orgoglio, sono il futuro della moda e di un comportamento che, finalmente, punterà prima di tutto sull’individualità.
Non è solamente un look ciò che sta tornando, ma un modo di pensare, vedere e agire che rivendica la creatività e la libertà di quegli anni.
I Fashion Designers di oggi sono quelli che hanno vissuto gli anni ’90 come teenagers e attraverso le loro creazioni ci ricordano le difficoltà che c’erano nel riuscire a trovare vestiti e accessori alla moda, viste tra l’altro le scarse possibilità economiche che poteva avere un ragazzino in quegli anni e allora si inventava, si improvvisava e spesso si riciclava, ed è proprio quello che ci stanno insegnando nelle loro sfilate.
Un back to the future in piena regola. Non ci serve l’ultimo pantalone in spugna con scritto Juicy sul fondoschiena visto nella sfilata Haute Couture di Vetements a Parigi, già lo abbiamo e si può comprare in un qualsiasi mercato di una qualsiasi città.
La nuova generazione di designers ci sta regalando alta moda accessibile, basta solo guardarsi intorno, come quando eravamo ragazzini.
Di Sonia Giordani