fbpx

È notte, è freddo e l’Insicuro arriva al baretto. Ai vostri occhi sembrerà normale o forse un po’ stanco, a causa delle occhiaie e dello zaino che si porta addosso: le stigmate di una giornata trascorsa e persa, in un’aula studio stipata da mille raffreddati senza un solo fazzoletto.

Ma interpretate meglio lo sguardo dell’Insicuro, osservatelo per bene: è perso, sì, ma feroce come quello di una bestia affamata, rilasciata dopo lunga cattività. È il portato delle ultime (e migliori) ore che il Nostro ha speso: era “a cena da amici”.

Sì, le premesse (sempre e solo quelle) erano rassicuranti – «vez, mangiamo un boccone easy, che nemmeno io voglio bere, che domani sveglia presto, eh» – eh, e invece. Invece, l’Insicuro esce ogni sera e ogni sera da una cena diversa – in case che creano un clima da izba russa tanto illusorio quanto l’idea che bere scaldi, soprattutto quando l’Insicuro, «modesta spesa, mistica resa», va di Vodka Lemon già dall’aperitivo – e si ritrova, ogni sera suo malgrado, ad addolcirsi con giri di amari. Accende cicche sbilenche come micce esplosive – si dice «è la noia dell’inverno, è lo stress, è la vita» – con dita ormai così ghiacciate che lo smartphone non le riconosce come appendici umane.

Recita il suo personaggio, davanti al locale, e fa progetti lungimiranti: sì, caro sconosciuto, l’Insicuro giura che si ricorderà di te domani e che vi sentirete e che farete cose, insieme, e che sarete amici, per sempre. Ma, vuoi lo sbalzo termico tra il fuori e il dentro dell’osteria, vuoi l’alcol, vuoi la mesta biologia, il pensiero dell’Insicuro si sposta altrove.

Il Nostro, d’inverno, non è né cicala né formica, è coniglio: d’un tratto i discorsi su Kant valgono di meno e quelli che gli ispirano due litri di vino molto di più. Allora, l’Insicuro si mette in cerca di quella cosa che finisce per no: quella che gli riempirà il piumone di calore umano, no?

Eccolo lì: l’Insicuro ride, per accontentarvi, di memes che finge di aver visto, promette di venire con voi a concerti che non gli interessano, ascolta rapito la telecronaca della vostra spesa al supermercato. In realtà, sta guardando oltre alla vostra spalla, dietro di voi. Cerca nella folla l’unica cosa a cui sta davvero pensando: il rifugio confortante che sta tra un paio di tette. Ché l’Insicuro è classicista – o anche avvocato, medico, sismologo o zoologo, ad una certa ora della notte – e sa che, in greco, seno vuol dire quello, quello spazio lì in mezzo. Ma non c’è tempo per googlare la Treccani: l’Insicuro deve agire alla meno peggio e, alla più, legalmente. Deve giocare in fretta e bene le sue quattro carte – e sono tutte coppe, quando sotto c’è bastoni.

Stop. Nei suoi ricordi, c’è un buco nero: per la legge dei grandi numeri (solo quelli) o dell’assurdo, l’Insicuro è riuscito a tramortire, di parole e di compassione, una preda. Nessuno saprà mai come ci sia riuscito, né se lo ricorderà lui domani. Ma, flash dopo flash: un infinito tragitto al freddo – in cui l’Insicuro rideva, smoccolava, citava filosofi a sproposito e, che hybris!, tentava di prenderle la mano, scivolando – fino a casa. Poi, ancora: le chiavi ghiacciate che nella toppa non entrano mai [;)] e, infine, l’ingresso – «fai piano, che gli altri magari dormono» – e, di lì, la camera da letto dell’Insicuro. Ci siamo: il Nostro calcia al riparo dallo sguardo di lei – che ammira i poster in giro per la stanza, dice cose e barcolla un po’ – i (tanti) panni sporchi.

Poi succede, finalmente succede: l’Insicuro le rivolge uno sguardo profondo – come un bicchiere o come un baratro – e lo esce. Così, di brutto, senza dire niente. Non le lascia nemmeno il tempo di sussurrare un «troppo presto, troppo ubriaca, troppo tutto» che ecco: lo ha già in mano e glielo lancia. Le arriva, dritto in faccia, quell’immenso pigiamone di pile. Sì, immenso, con quei pallini lì, quelli che fa il pile quando è frusto e magari sporco di yogurt e sugo al tonno. Sorpresona: in zero due, da dietro le spalle dell’Insicuro, compaiono come per magia due tisane al finocchio.

In tre secondi netti, il Nostro è sotto le coperte e infila i suoi piedi ghiacciati sotto le gambe di lei, smarrita. Sorseggia un goccio di tisana dal suo tazzone di Winnie Pooh e si appoggia a lei. Gira la testa lentamente, abbassa gli occhi e sospira:

«Ho tanta paura del futuro, sai?»