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Qualche tempo fa abbiamo avuto la fortuna di poter intervistare, alcuni giorni prima della sua partenza, Davide Bortot, giovane di origini roveretane ma da anni impegnato in progetti di volontariato in giro per il mondo. In questa intervista ci parla del suo ultimo progetto: Cinema du Desert.


Che cos’
è cinema du desert?

CdD è un veicolo auto costruito che viaggia per le strade del mondo portando la magia del cinema nei luoghi più remoti o inaspettati.

CdD è un collettivo di volontari, uniti dalla credenza comune che il libero accesso alla cultura sia uno dei pilastri per un domani migliore.

CdD è un’avventura iniziata 7 anni fa…

 

 

Che cosa ti ha portato ad avventurarti in questo progetto?

Innanzitutto la curiosità. La voglia di vedere con i propri occhi e toccare con le proprie mani luoghi e culture lontane. L’intenzione di scambiare informazioni e punti di vista con gli altri. La scelta di non “mettere radici” in un luogo specifico ma di esplorare quanto più possibile questo pianeta, interagendo con tutte le comunità che incontriamo.

 

 

Quali sono stati i tuoi primi approcci al viaggio e alla vita “su ruote”?

I primi approcci sono stati un po’ goffi: un camper sgangherato comperato insieme ad un amico alla fine delle superiori e un paio d’anni a viaggiare in Italia ed Europa da cui è nata una forte passione per i veicoli ed il loro allestimento. Nel corso degli anni questa passione è cresciuta, attraverso un costante miglioramento ed una costante ricerca di un veicolo che permettesse uno stile di vita differente, semi nomade.

 

 

Quali sono le cose più importanti che hai appreso e scoperto nei tuoi viaggi?

Che il mondo è un luogo bellissimo, vario ed interessante. Ho scoperto che tutto quello che fai/dai ritorna indietro. Ho scoperto in primo luogo che non esiste rivoluzione che non parta dal cambiamento “interno” delle persone, che siamo tutti collegati l’un l’altro anche se viviamo a 10.000 km di distanza, che la foglia che cade da un albero sulle Dolomiti è strettamente collegata al filo d’erba della steppa mongola piegato dal vento.

 

Quali sono i paesi in cui siete passati che più ti sono rimasti impressi?

Sicuramente il Burkina Faso e la Mongolia.

Il primo per l’integrità delle persone, per la tenacia e l’impegno quotidiano dei suoi abitanti, per la loro determinazione a cambiare in meglio le cose.

Il secondo per l’incredibile bellezza del suo territorio, per la sua vastità, le sue genti ed il loro rapporto con la natura.

 

Perché la scelta di portare il cinema alle persone?

Abbiamo iniziato un po’ per caso. Eravamo sulla pista per Tombouctou, un villaggio ci ha ospitato per una settimana trattandoci in una maniera che solo gli abitanti del deserto (purtroppo) sanno.
La migliore idea che ci venne in mente per ricambiare tale ospitalità fu di organizzare una proiezione al centro del villaggio, accorsero più di 800 persone e da lì capimmo l’importanza di quello che stavamo facendo. Sotto un cielo stellato, guardiamo insieme lo stesso schermo, trasmettendo emozioni ma anche informazioni. Gli eventi sono sempre gratuiti ed aperti a tutti e rappresentano un’ottima occasione di dibattito pubblico dopo le proiezioni, dove si approfondiscono le tematiche del documentario oppure si dibattono problematiche locali.

 

Quanto è importante il contatto coi bambini nel vostro progetto?

Fondamentale. Nel progetto come nella vita, i bambini sono veri e istintivi e spesso preferisco parlare e confrontarmi con un bambino di 5 anni piuttosto che con un ragazzo o un adulto. I bambini non si portano appresso quel fardello di condizionamenti sociali e comportamenti costruiti che fungono da filtro nelle relazioni tra adulti.
Tutti questi condizionamenti in alcune comunità non esistono, quando parli con un adulto che vive in armonia con la natura (un nomade siberiano per esempio) è come se parlassi con un bambino che ha un sacco d’esperienza. Non saprei bene come definire questa cosa, diciamo che sicuramente il dialogo non sarà incentrato su denaro, lavoro, vacanze, politica, oggetti tecnologici, marche… ma più semplicemente su cose più umane!

 

Qual è la situazione reale dei paesi del “terzo mondo” che avete toccato, a differenza di quanto raccontato dai nostri media?

I media spesso tendono a comunicare ed enfatizzare gli avvenimenti negativi piuttosto che quelli positivi.

La situazione reale è che “loro” devono stare in quelle condizioni per permettere a “noi” di vivere come viviamo. Il paese sottosviluppato è utile solamente al paese sviluppato.
Sicuramente non stiamo andando in una buona direzione; questo mondo iper-connesso e globalizzato sta addormentando le coscienze, e purtroppo non è semplice pensare di rinunciare a determinate cose nel nome di un’eguaglianza con qualcuno che neanche si conosce.

 

 

Quanta “distanza culturale” avete trovato con i popoli che vi hanno ospitato, e come siete riusciti a creare un “incontro” con loro?

Enorme. Abbiamo toccato luoghi lontanissimi non solo dal punto di vista geografico ma soprattutto in termini di usi, costumi e tradizione. Ho molto apprezzato l’incontro con i popoli Dogon, custodi di una tradizione ancestrale tramandata oralmente, idem per i discendenti di Gengis Kahn in Mongolia. In ogni luogo però è in atto un rapido cambiamento, dettato dalla nostra società che per le sue caratteristiche insite sta marginalizzando questi popoli in nome della cultura arrivista e capitalista.

L’incontro con l’altro è sempre meno difficile di come si possa immaginare. Basta qualche gesto per comprendersi ed è spesso capitato di dilungarsi in conversazioni dove ognuno utilizzava la propria lingua madre capendosi benissimo grazie a sguardi e gesti.

Per quanto riguarda il nostro progetto, per superare le barriere linguistiche oltre alle immagini (che già “parlano”) cerchiamo di privilegiare i film e documentari non verbali, quindi appositamente creati per comunicare in un linguaggio universale.

 

Che cosa ne pensate delle politiche migratorie europee e dello sfruttamento delle potenze internazionali/multinazionali nei confronti dei paesi del terzo mondo?

Diciamo semplicemente che dopo aver visitato i centri d’accoglienza di mezza Italia, visitato più volte alcuni dei paesi di provenienza dei migranti, essere stati ad Idomeni ed in 18 campi profughi in Grecia, non possiamo che trovarci in disaccordo con le politiche migratorie europee. Viviamo in un momento storico molto delicato, mi sembra incredibile che i nostri concittadini non abbiano ancora capito che esportando armamenti ed investendo principalmente in quel settore, le persone che arriveranno saranno sempre di più. Se a questo aggiungiamo un po’ di “esportazione” della democrazia abbiamo fatto centro: abbiamo fatto un cocktail esplosivo… basta vedere la Libia del dopo-Gheddafi e ciò che ha determinato a livello migratorio e sociale.

 

Come pensate potrebbe essere risolto questo problema di “integrazione”?

Tutto parte da una corretta informazione dei cittadini. Oggi, per una serie di diversi fattori, le notizie vere sono rare. Grazie in particolar modo ai social media, si assiste sempre più ad una mistificazione della realtà e ad una conseguente escalation dei movimenti xenofobi e nazionalisti. “L’integrazione” non può che passare attraverso la reciproca conoscenza e la condivisione di esperienze.

 

Quali viaggi avete affrontato fino ad ora e quali saranno i prossimi?

A partire dal 2009 fino al 2014 siamo stati per 4 volte, con una durata di 23 mesi sul posto, in Africa subsahariana (Mauritania, Mali e Burkina Faso). Nel 2015 abbiamo affrontato la più grande sfida: 30.000km, 8 mesi di viaggio, dall’Italia attraverso i paesi dell’est Europa, toccando il Medio Oriente e Asia per giungere in Mongolia e successivamente in Siberia. Siamo poi rientrati dai paesi Baltici disegnando una specie di ovale sulla carta geografica.

A breve (15 Dicembre) i motori del nostro camion-cinema si riaccenderanno e partiremo di nuovo per l’Africa. La destinazione per la quarta volta è il Burkina Faso, dove gireremo in lungo e in largo portando il cinema in oltre 30 villaggi e città nel corso di 3 mesi di permanenza sul territorio. Sarà un’ottima occasione per visitare tutti i progetti realizzati dall’ONG Bambini nel Deserto, della quale siamo soci e referenti per il Trentino dal 2009. Il bilancio del Cinema du Desert in questi 7 anni di attività è: più di 100.000 km percorsi, 21 paesi visitati (senza contare gli stati della Federazione Russa), 3 continenti e decine di migliaia di spettatori…

In tutti questi anni sono stati tanti anche i volontari, provenienti da varie nazioni (Russia, U.S.A., Italia, Portogallo…) che hanno supportato il progetto, viaggiando con noi e dedicando una parte della loro vita a questa causa. Vorrei ringraziare qui almeno i trentini: Francesca, Andrea, Lorenzo, Nicolò, Aivja e Andi.

 

Come possono i nostri lettori, avere ulteriori informazioni sul vostro progetto, seguirvi e/o aiutarvi a realizzarlo?

Per avere maggiori informazioni sul progetto e su come poter contribuire alla sua realizzazione, possono visitare il nostro sito internet www.cinemadudesert.org, poi attraverso i nostri social (Facebook e Instagram) sarà possibile seguire “in tempo reale” l’avanzata della carovana nella nuova spedizione africana.

Ci tengo molto a sottolineare che fino ad ora questo progetto è stato possibile grazie al sostegno diretto di tantissime persone private, è un progetto nato e supportato “dal basso” che si è evoluto soprattutto grazie al continuo apporto di piccole donazioni attraverso le nostre campagne di raccolta fondi.