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Involontariamente tetra, l’Isola dei Morti si staglia a difesa – anche qui, involontariamente – di un approccio al viaggio che lo svincola dalla sua funzione primaria e lo eleva ad esperienza priva di dettami. Perché l’Isola dei Morti non è una meta. Non è il punto B segnato sulla cartina. È un cartello marrone poco prima del distributore di benzina, e può essere bellamente ignorato. Magari dopo aver fatto il pieno, che è l’unico vero motivo per passare da lì. Da lì dove?Non importa, c’è Google, c’è il navigatore, arrangiatevi. 

«Quel cartello mi attira, seguiamolo»

Ecco, appunto. Era meglio fare il giro lungo per non dare soddisfazioni all’amante del macabro. In ogni collettivo c’è sempre un amante del macabro che entrerebbe in qualsiasi cimitero solo per rotolarsi nella ghiaia e fare gli angioletti nella neve. Senza neve.
In genere sono io.

Certo, un istante prima di varcare i cancelli viene spontaneo chiedersi dove termini effettivamente la volontà di un luogo chiamato “Isola dei Morti” di risultare tetro. Eppure vuole passare per un parco naturale, per un omaggio ai caduti, e il nome ha il solo scopo di ricordare un evento passato. Non è una gigantesca necropoli.

O quantomeno non intende esserlo.

Lo spirito più critico e razionale (cacacazzi, termine tecnico) vede nella panchina rovesciata vicino all’ingresso un semplice segno di scarsa manutenzione, forse di vandalismo, un’ottima scusa per andarsi a lamentare in sede comunale. Non certo un presagio. In effetti tutto il parco risulta poco curato e lasciato a sé stesso, ed è qua che prende vita la poesia intrinseca del posto.

E Bianca, il gatto nero e sfregiato che si incontra lungo la strada, non è più l’affettuosa mascotte dell’isola; diventa un guardiano che ogni notte protegge la sacralità del luogo. I numerosi alberi caduti che talvolta strozzano i sentieri costringendo alla retromarcia sono il risultato di estenuanti battaglie contro le entità che infestano l’area. Forse i morti di cui si parla sono loro. O forse sono gli stessi alberi, in uno struggente simbolismo.

Probabilmente Bianca sa, ma non può parlare. Probabilmente l’occhio che ha perso parla per lei.

E probabilmente si tratta solo di un vecchio parco semi-abbandonato, un tempo bagnato da un ramo del Piave – ora asciutto e circondato da una spiaggia di pietre bianche – e meta fortuita di pochi, annoiati turisti che trovano come sua unica legittimazione la presenza di qualche monumento in un piazzale e sbuffano di fronte alla decadenza che permea tutto il circondario.

D’altronde, lo dicono anche gli Uochi Toki: non fare storie, piuttosto inventale.

E l’Isola dei Morti è piena di storie. Non necessariamente vere.

«O valli disgombre dove torna una così pura dolcezza che i morti sembran quivi dormire nel grembo di Maria come il figlio!»
Gabriele D’Annunzio, La preghiera di Sernaglia.